• Tommasi: “Che emozione contro la Fiorentina! Futuro Roma legato allo stadio”

    Redazione RN
    24/02/2017 - 13:39

    Tommasi: “Che emozione contro la Fiorentina! Futuro Roma legato allo stadio”

    NOTIZIE AS ROMA – Damiano Tommasi, ‘anima candida’ della Roma del 2001 (vincitrice di uno Scudetto e di una Supercoppa Italiana) e attuale presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, ha ripercorso la sua carriera ai microfoni di luckyjunior.it.

    La tua carriera da professionista è iniziata nel Verona, ma provenivi da una piccola squadra di provincia, proprio come potrebbe capitare a tanti ragazzi che giocano nelle serie minori. Puoi raccontarci dei sogni, e delle speranze del Tommasi “ragazzino”?
    “All’Hellas Verona sono arrivato a 16 anni, nel 1990, proveniente dall’A.C.S. Zeno di Verona. Questo arrivo “in ritardo” rispetto agli attuali tempi di approdo in un settore giovanile di una squadra professionistica, mi ha permesso di vivere il calcio da bambino senza tante pressioni e senza sentirmi qualcosa di diverso da tanti altri ragazzini che giocano a calcio. L’Hellas Verona, avendo vinto, tra l’altro, lo scudetto nel 1985, era nel cuore di tutti i bambini di Verona e così è stato anche per me. Avere già a casa il materiale sportivo per allenarmi tutti i giorni con la squadra del cuore era per me il massimo, un traguardo importante”.

    Dopo la promozione del Verona in Serie A, vieni ceduto alla Roma. Ci puoi raccontare come andarono le cose e che impatto hai avuto con la città, la squadra e la tifoseria?
    “Cresciuto in un paesino di 300 anime, in un comune di 3000 abitanti, trovarmi all’improvviso nella capitale, da giovane sposo 22 enne, non è stato semplice. E’ stata una sfida, volevo vedere se potevo giocare in serie A certi livelli. I primi due anni sono stati complicati visto che ero sempre fischiato dalla tifoseria e criticato dalla stampa. La fiducia dei compagni, del mister e della società mi hanno però aiutato molto e mi hanno dato la serenità, apparentemente ‘assurda’, con la quale scendevo in campo. La città, da subito, mi è piaciuta moltissimo e posso dire che ancora oggi quando torno a Roma mi sento un po’ a casa”.

    Nei 10 anni alla Roma sono passati diversi allenatori. Chi è stato, per te, quello più importante per la tua carriera e quello che hai “amato” meno?
    “Il più importante e quello che ho più amato è stato sicuramente Zdenek Zeman. Forse in questo mio giudizio incide il fatto che era proprio lui l’allenatore nel periodo delle critiche e dei fischi. La sua fiducia e il suo credo calcistico mi hanno fatto innamorare. L’allenatore con il quale ho avuto meno feeling è forse stato Fabio Capello che, per ironia della sorte, è anche l’allenatore che, da quando gioco a calcio, ho avuto per più anni (ben 5) ma con il quale in campo mi sentivo meno a mio agio. Strano che dica questo visto che è stato il periodo più intenso della mia carriera, quello dello scudetto con la Roma, della Nazionale e delle coppe europee”.

    Chi è stato il giocatore più difficile da affrontare della tua carriera e quello che ti ha impressionato di più in campo, sia da avversario che come compagno di squadra?
    “Il più difficile sicuramente Zidane visto che spesso e volentieri toccava a me marcarlo…. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di giocare con e contro i più grandi giocatori di quel periodo. Un nome che viene citato poco ma che mi ha sempre affascinato da avversario è sicuramente Manuel Rui Costa. Per quanto riguarda i miei compagni ne devo citare due… Cafù e Aldair! Esempi dentro e fuori dal campo”.

    La domanda è d’obbligo… che persona è Francesco Totti dentro e fuori dal campo? Che rapporto avevi con lui negli anni di Roma?
    “Totti è il ragazzo di sempre anche adesso che ha 40 anni. Il suo nome e la sua celebrità hanno superato il suo essere ragazzo di Roma, semplice e leggero. Negli anni la sua figura ha assunto contorni molto importanti in termini di responsabilità, anche mediatica e questo forse non l’ha aiutato a sentirsi se stesso quando si rapportava con l’esterno. Nello spogliatoio, invece, riusciva ad essere se stesso e questo lo faceva diventare un compagno di avventura ‘frizzante’ e spensierato”.

    Nella stagione 2005-06, dopo il tuo grave infortunio del 2004, firmi uno di un anno di contratto con la Roma al minimo sindacale di 1.500 € al mese. Una scelta che ti ha fatto rimanere nel cuore di tutti i tifosi. Personalmente ricordo il tuo gol alla Fiorentina di quella stagione, mi fece scendere le lacrime agli occhi. Puoi spiegarci il motivo di quella scelta e le sensazioni che hai provato ritornando in campo e dopo il gol contro i viola?
    “Il contratto mi era scaduto nel mese di giugno. A fine agosto sono stato richiamato dalla Roma, su richiesta di Luciano Spalletti – neo arrivato sulla panchina giallorossa – a discutere un nuovo contratto. I dubbi sulla mia reale tenuta fisica erano emersi da parte della Società durante la trattativa e, di concerto con il mio agente di allora Andrea Pretti, proponemmo il contratto al minimo sindacale perché la mia priorità era provare a tornare un calciatore. La Roma evitava, così, qualsiasi rischio economico nei miei confronti e io potevo aggregarmi alla squadra nell’unico ruolo che mi interessava in quel momento, da calciatore. Il gol contro la Fiorentina, alla prima da titolare e dopo appena un minuto di partita, con mia moglie presenti sugli spalti e Cesare Prandelli (presente il giorno del mio infortunio) sulla panchina della Fiorentina è diventato, ad oggi, il momento più emozionante della mia vita calcistica”.

    In quell’anno hai avuto Luciano Spalletti come allenatore? Ci puoi raccontare che allenatore e persona hai trovato?
    “Spalletti, come detto, mi ha cercato e voluto nello spogliatoio. Era alla sua prima esperienza con una squadra importante come la Roma e devo dire che si è calato perfettamente e sin da subito nella situazione. I risultati nel corso degli anni lo hanno gratificato e credo che l’incertezza societaria di quegli anni abbia agevolato il suo istinto manageriale che ha potuto, poi, mettere in campo con maggior libertà e responsabilità”.

    Cosa pensi della Roma americana? Dove può arrivare questa squadra?
    “La Roma ormai è una ‘certezza’ competitiva e lo dimostrano i risultati degli ultimi anni superati solo da una Juventus straordinaria. Il futuro di questa squadra e di questa società passa senz’altro dalla vicenda stadio ma da un punto di vista sportivo mi sembra che siano sulla buona strada”.

    Dopo la Roma hai giocato in Spagna (Levante), Inghilterra (Queens Park Rangers) ed in Cina (Tianjin Teda). Cosa ti hanno portato queste esperienze e che differenze hai trovato, rispetto all’Italia, nei vari campionati.
    “Girare il mondo mi ha aiutato sia a conoscere altre culture e modi di vivere il calcio, sia a vedere l’Italia con un po’ di distacco. Credo che farebbe bene a tutti uscire qualche anno per poi rivivere il nostro Paese con un po’ più di cognizione dei nostri difetti e dei nostri pregi. La Spagna è il Paese con la qualità di vita migliore che ho avuto modo di conoscere, l’Inghilterra il Paese dove professionalmente si può dare il meglio e la Cina il Paese dove si respira futuro ottimista in tutti gli angoli. Manco dalla Cina dal 2011 ma credo che dal 2009, anno in cui ho giocato nel Tianjin Teda, parecchie cose nel calcio siano cambiate ma sia rimasta questa rosea aspettativa di un futuro certamente meglio del presente”.

    Dopo la parentesi cinese ti sei gettato in seconda categoria nel Sant’Anna d’Alfaedo, dove giochi ancora attualmente. Come è nata l’idea?
    “Nessuna idea particolare avevo solo voglia di continuare a divertirmi con un giocattolo magico che supera tutte le barriere, di categoria e di età. S.Anna d’Alfaedo è il mio paese natale e non avevo mai militato in prima squadra, visto che ero partito giovane per altre vie. Ora è diventata la mia seconda squadra, in termini di permanenza, essendo all’ottava stagione”.

    C’è qualche calciatore in cui ti rivedi?
    “Sinceramente no, anche se in Radja Nainggolan rivedo la mia voglia di essere da tutte le parti del campo”.

    Che consigli puoi dare ai tanti ragazzi che giocano nei dilettanti, a chi gioca a calcio solo per passione?
    “Di divertirsi e pensare sempre che il pallone è un giocattolo “magico” e che la squadra è una grandissima palestra di convivenza. A tutti i livelli lo sport, soprattutto quello di squadra, è un’occasione importantissima per crescere come persona, che si muove all’interno di un contesto sociale variegato e stimolante, dove l’altro è e deve essere una risorsa e mai un pericolo”.

     

     

    Scrivi il primo commento

    Scrivi un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


    *

    Seguici in diretta su Twitch!

  • Leggi anche...