• Santarini, il libero che suggerì la “zona” a Liedholm

    Redazione RN
    10/05/2015 - 14:59

    CORE DE ROMA“Ho il pudore di pensare che giustamente tutto passi in fretta e tutto venga dimenticato. Noi, col pallone, scriviamo piccole storie subito scavalcate ed annullate da altre vicende. Conta solo il domani, nello sport, e specialmente nel nostro sport. In queste tre frasi c’è tutta l’intelligenza, la lucidità e lo spessore morale di Sergio Santarini, riminese classe 1947. A sentirlo parlare ci si rende conto all’istante non solo che ha studiato, ma che è naturalmente portato alla riflessione. E’ uno che costruisce pensieri proprio come, negli anni ’70, costruirà gioco in mezzo al campo; e per la costruzione c’è bisogno di una cosa prima di tutto: saper ragionare. Lui lo fa bene fin da ragazzo e se ne accorge ben presto Helenio Herrera, che lo porta all’Inter nel ’67; lo strappa al Venezia che lo aveva preso in prova per un’amichevole contro il Santos di Pelè: Sergio annulla letteralmente “O Rei”, dimostrando di essere pronto per il grande calcio. Ma a Milano gioca a singhiozzo, e dopo una stagione segue il “Mago” all’ombra del Colosseo. “Non immaginavo però che sarebbe stato un amore al primo sguardo”, confessa con un sorriso. Quando lascerà la Roma, lo farà con la fascia di capitano al braccio, dopo 344 presenze in campionato (solo Totti, De Rossi e Losi ne hanno collezionate di più), con un solo rimpianto: “Avrei voluto aggiungercene altri due, di anni, e allora avrei vinto lo scudetto”. Ma lui, come Rocca e altri, contribuisce più di quanto si pensi alla crescita di una squadra che di lì a poco tornerà sul tetto d’Italia.

    LA STORIA – E pensare che da ragazzino Sergio non giocava a calcio, ma a basket. “Fino a tredici anni ho pensato di poter diventare un discreto play-maker. Proprio vero che la realtà è sempre diversa dai sogni. Un giorno, all’oratorio, il pallone da basket si sgonfiò e per non passare il pomeriggio ad annoiarmi, seguii altri compagni sul campo vicino. C’erano due porte, delle linee di gesso per terra. Giocavamo al calcio. Dimenticai il basket e assimilai così le prime nozioni”. Da lì in poi è un’ascesa continua, che lo porta a raccogliere il posto di Giacomo Losi al centro della retroguardia giallorossa. Di fatto, è il primo libero nella storia del calcio italiano, perché sa impostare l’azione come un centrocampista. Gioca il pallone, ma non disdegna di spararlo in tribuna quando le circostanze lo richiedono. Quando Liedholm torna a Roma nel ’79, è proprio Santarini, insieme a Turone, a proporre al Barone il passaggio al modulo “a zona”. In giallorosso conquista tre Coppe Italia, l’ultima delle quali subito prima di trasferirsi al Catanzaro: nella finale contro il Torino, Sergio calcerà e realizzerà uno dei rigori decisivi per l’assegnazione del trofeo. “Ero in panchina e Liedholm mi fece entrare solo per calciare il rigore. Era la mia ultima stagione a Roma, non avevo preso bene quella panchina. Ricordo che Liedholm mi disse: ‘Sergio, sai cosa devi fare’. Forse temeva che gli potessi tirare qualche brutto scherzo. Io gli risposi: ‘Non si preoccupi’”. Palla da una parte e portiere dall’altra. E’ la maniera migliore per salutare, dopo 13 anni vissuti con la maglia giallorossa a fare da seconda pelle.

    L’EPISODIO – 16 aprile 1978. Si gioca la quartultima giornata di campionato, la Roma dista due sole lunghezze dalla zona retrocessione e Santarini raggiunge quota 300 presenze con la squadra capitolina. All’Olimpico arriva il Verona. All’ 87’ il risultato è inchiodato sull’ 1-1 e un pareggio metterebbe ancor più nei guai i giallorossi. Sugli sviluppi di un corner dalla sinistra, però, nella difesa scaligera fa breccia una maglia rossa con il numero 5: è proprio Sergio, che di testa spedisce il pallone all’incrocio dei pali e regala una vittoria vitale. Non c’è modo migliore per festeggiare, dopo che il club gli ha regalato una medaglia per celebrare l’importante traguardo individuale. Qualcuno, di fronte ad episodi del genere, parla di “coincidenze”. Altri, più romantici, usano invece una parola di cui spesso si abusa, ma che in casi del genere non può non essere tirata in ballo. Quella parola è: “Destino”.

    Lorenzo Latini
    Twitter: @lorenzo_lat87

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