• Pellegrini e Bove raccontano Roma: “E’ una questione di cuore, la città è immortale. Bambini parlano con i supereroi, noi con Totti”

    Manuela Fais
    23/05/2022 - 13:48

    Foto Tedeschi
    Pellegrini e Bove raccontano Roma: “E’ una questione di cuore, la città è immortale. Bambini parlano con i supereroi, noi con Totti”

    PELLEGRINI BOVE TOTTI – Lorenzo Pellegrini e Edoardo Bove si preparano a vivere una giornata speciale il 25 maggio: la finale di Conference League contro il Feyenoord con la maglia della Roma, da romani e romanisti. Insieme a Cronache di spogliatoio hanno scritto una lettera per raccontare le emozioni che provano e per descrivere cosa significa per loro indossare i colori della propria città. Di seguito uno stralcio delle loro parole:

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    Pellegrini

    “Quando voglio stare da solo con la mia Roma, vado al Giardino degli Aranci. Mi sistemo la maglietta, appoggio i gomiti  sul parapetto e osservo. Quanto sei bella. Da qui puoi vedere un po’ tutto. Ti senti in mezzo alla natura, ma hai tutti i monumenti a portata di mano. Sembra che tu possa toccarli. Roma è speciale. Immortale, talmente divinizzata da essere la più umana di tutte. In ogni angolo, non riuscirai mai a sentirti solo. Sarà la storia, saranno le pietre. Le luci calde, i motorini sul Lungotevere, le lettere sciupate sui cartelli stradali. Lei sta lì, vicina, e non ti lascia per niente al mondo. Con lei balli anche senza musica. […] Sono cresciuto dentro Roma, tra le bambole di mia sorella a cui staccavo la testa per utilizzarla come pallone e il circolo della Banca d’Italia dove lavorava mio padre. Lì avevo un amico immaginario. Tanti bambini parlano con i supereroi, altri con i protagonisti dei cartoni animati. Io, semplicemente, parlavo con Francesco Totti. La prima volta in cui l’ho visto avrei voluto parlargli davvero, ma alla fine tutti i discorsi sono rimasti nella mia mente. Mi bastava sapere che lui mi avesse visto. Ogni volta che ero in partitella con lui, e ricevevo il pallone, glielo passavo subito. Tanto poi ci pensava lui. Lo capiva che i giovani erano in soggezione al suo cospetto e con qualche battuta alleggeriva subito la tensione. Adesso voglio essere io d’ispirazione, come lui lo è stato per me. Per i tanti ragazzi che sognano di scrivere la storia della Roma. […] La Roma è così, la senti dentro. Quello che i nostri tifosi hanno fatto quest’anno è sotto gli occhi di tutti. Si meritano il meglio, ci teniamo che le persone siano a conoscenza di questo. Giocare per la Roma ti dà un’emozione in più. Senza saperlo, ma abbiamo una grande responsabilità. Io sto rivivendo il sogno di me, che da piccolo vedo Francesco il capitano. Adesso non me ne rendo conto, ma qualche bambino si paragona a me. Uno degli stimoli più grandi che esistano, e che deve farci chiedere sempre di più da noi stessi. […] Se chiudo gli occhi, non voglio immaginare la mattina della finale di Conference League. Sono uno che preferisce concentrarsi sul presente, dando il meglio per rendere quella giornata degna di essere ricordata, oltre che vissuta. […] I momenti più belli sono stati nel percorso: sai da dove parti, sai dove arrivi, la sfida è conoscere quello che dovrai vivere per raggiungere la meta. L’ignoto. Come quando, ogni anno, ti arrivava la lettera della Roma. La prima volta avevo il cuore in gola, ma grazie alla sensibilità dei bambini avevo capito che mio padre sapeva qualcosa. E sapeva che io sarei diventato Lorenzo, «quello che gioca nella Roma». Non dimenticherò mai i secondi in cui ho aperto la busta. Un sì o un no che possono cambiarti la vita. Ero teso, ma fiducioso. Perché la lettera ti arrivava comunque, era il verdetto a segnare la tua esistenza. Legata indissolubilmente alla tua città. Siamo figli di Roma, e questo non ce lo potrà mai togliere nessuno.”

    Bove

    “Ho capito una cosa guardandoti. Che noi veniamo qui a Trigoria per lavorare, ma soprattutto per migliorare. L’ho visto sai che dopo ogni allenamento raccogli qualche pallone, ti sistemi al limite dell’area di rigore e inizi a calciare le punizioni. Chissà da quanto lo fai, e posso dirti che i risultati si vedono. Siamo cresciuti tutti con Francesco negli occhi. E per me c’è ancor più un alone di leggenda, dato che da sempre vivo nella casa accanto alla sua, a San Giovanni. Totti è Totti. E la Roma è la Roma. Pensa Lore che ho rischiato di non giocarci. La storia del mio arrivo in giallorosso è qualcosa di stupendo. Praticamente mi presento ai provini, senza sapere che i test sono due. Il primo consiste in una partita con i ragazzi in prova, il secondo in un match con il gruppo squadra già formato. Faccio il primo provino ed essendo estate, parto in vacanza con la mia famiglia. Qualche giorno dopo i miei genitori ricevono una chiamata: «Ma dov’è vostro figlio? Lo stiamo aspettando per iniziare». Ehm… ero al mare, non avevo capito. Pensai: «Vabbè, è finito tutto. Il sogno è svanito, potranno mai prendere uno che non si presenta ai provini?». Non demordo: la Roma organizza i campus estivi e decido di iscrivermi con qualche amico. Ci sono gli osservatori, e c’è anche Bruno Conti. Che appena mi vede in fila per compilare l’iscrizione, mi dice: «Ma te che ci fai qui?». E io balbetto: «Eeeh, voglio partecipare ai campus». La sua risposta mi lascia senza parole: «Ma quale campus, guarda che sei già stato preso! Tra qualche giorno inizi con il gruppo dei 2002». E io che ci ero andato solo per divertirmi. D’altronde è normale: noi siamo figli di questa città, di questa gente. Siamo un gruppo unico e siamo i primi tifosi di noi stessi. […] Qui da noi è tutta una questione di cuore. Anche il mister punta molto sul concetto di Noi. Lo utilizza sempre. E in quel Noi ci sono i magazzinieri, quelli del marketing, i calciatori. Tutti quelli che compongono un mattoncino di questa società. La prima volta mi sentivo molto in soggezione. Era come uno di quei personaggi che da piccolo vedi in tv, oppure nei film, e rimani sorpreso quando te li trovi davanti. Mi ha salutato a Trigoria e io avevo ancora il braccio ingessato. Mi ha chiesto: «Come stai?». Piano piano anche lui sta diventando romano. […] Non puoi capire cosa mi è successo, allora. La prima foto me l’hanno chiesta al bar sotto casa. Il giorno prima della partita contro il Verona, entro per un caffè e nessuno mi riconosce. Il giorno dopo aver segnato, entro tra gli sguardi interessati: «Grande Edo, possiamo farci un selfie». E fin qui tutto bello, una grande emozione, particolare. Qualche ora più tardi stavo camminando per strada e a un certo punto vedo un camion che rallenta, fino a inchiodare: «Ao’, ma te sei Bove? Dobbiamo per forza farci una foto». Guardo lui, guardo il camion, guardo la strada. Tira il freno a mano e scende. Le macchine dietro hanno iniziato a suonare il clacson, qualcuno ha abbassato il finestrino per urlare «Ma che fai? Ma chi è questo?». Qualcuno lo insultava. Ci siamo scattati la foto, è salito sul camion ed è ripartito. Non smettevo di ridere.”

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    1. e che je vòi dì a sti Due? Sprizzano ROMANISMO, semplicità, bellezza interiore del semplice Tifoso Romanista. Ho 73 anni ne ho viste tante di ROMA e di CAPITAN, che ci hanno fatto sognare, ma non mi vergogno a dirvi che leggendo queste due lettere, piene di amore per la Città Eterna mi sono commosso e qualche luccichio mi è uscito dagli occhi. Questa è ROMA, questi sono i suoi Figli…Grazie Lorenzo, grazie Edoardo, vi auguro il meglio come uomini e come calciatori.

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