6 Novembre 2023

Occhio alla penna – Non li capirò mai, quelli che vanno via prima

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Roma tifosi

Sono sempre stati quelli che ho capito “meno”. Un eufemismo per dire che non li giustificavo e non li giustifico, salvo che nei casi di malanni improvvisi che mettevano a rischio la loro vita, s’intende. Parlo di quelli che allo stadio escono prima che finisca la partita. A volte dieci minuti prima. Prima di un assist di Zalewski grazie al quale ricomincia a fluire il sangue nelle vene di un popolo intero, per esempio. Si preparano per andarsene indipendentemente da quale sia il risultato o da come stanno evolvendo – o involvendo, se la loro squadra perde – le cose in campo. Mi è sempre parso innaturale il loro formicolìo sulle scalette, con le spalle rivolte al terreno di gioco.

Sarà che ancora oggi che lavoro in tribuna stampa non ho modificato di una virgola l’abitudine ad arrivare presto, che in realtà vuol dire “prima”. Un prima agli antipodi, rispetto a quello di chi esce senza aspettare che l’arbitro fischi; quasi metafisico, privo di riferimenti precisi. Perché ogni volta che mi veniva chiesto: – A che ora andiamo? – io rispondevo “prima” senza ascoltare ipotesi alcuna circa l’orario del ritrovo. Forse dipende dal retaggio di quando, nei periodi meno felici del mio andamento scolastico, mi venivano negati i soldi per il biglietto e aspettavo l’apertura dei cancelli all’Olimpico per gli ultimi venti minuti. Che, in dettaglio, erano non più di dieci. 

Che sia cambiata la fruizione di ogni cosa, quindi di ogni forma di spettacolo, lo sappiamo bene: a causa della parcellizzazione della soglia d’attenzione e di come la proposta televisiva vira sempre di più verso la valorizzazione della sintesi, spesso estrema; di un mordi e fuggi che comincia a farti fuggire prima di aver inghiottito il boccone. Però andare allo stadio resta un atto di fede, anche per tutta una serie di scomodità che in Italia ben conosciamo; non vuol dire semplicemente andare a divagarsi, o divertirsi, allo stesso modo in cui il concetto vale per il cinema o per il lunapark. Di conseguenza, andare via prima equivale a non meritarsi la benedizione.

Avrei tanti esempi di gente che ho visto uscire prima e perdersi episodi e gol storici, oltre che decisivi segnati allo scadere. A volte due gol, non uno soltanto. E in ogni caso non sono uscito prima nemmeno con uno 0-3 sul tabellone, tra fischi, insulti e punteggiatura di “Andate a lavorare”. Un esempio per tutti, di ciò che rischiano di perdersi: ricordo nitidamente un signore, forse stizzito per il risultato che stava maturando, alzarsi e abbottonarsi il “rennino” nei minuti finali della semifinale di ritorno della Coppa UEFA 1991, tra la Roma e il Brøndby di Copenaghen. Tre minuti dopo, forse due, Rudi Voeller cambiava il destino in scivolata. A quel Signore nessuna riproposizione televisiva, negli anni, ha mai potuto restituire ciò di cui si era volontariamente privato.

Sinceramente, capisco poco anche quelli che, mentre il gioco è in corso, si alzano dalla tribuna sotto di me e vanno a comperare bibite o snack. Come se stessero passeggiando tra le vetrine di un outlet. Però quelli li perdono, perché tornano. Non del tutto, s’intende, ma li perdono.  

Paolo Marcacci

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8 commenti

  1. m29 ha detto:

    perche’ giudicare cosi’ ? ci sara’ anche chi avra’ un motivo valido o no ? io ho fatto 10 anni di abbonamento, a volte mi e’ capitato di dover uscire un po’ prima per evitare di perdere (nelle partite serali) l’ultimo treno disponibile per tornare a casa, o forse per lei marcacci son un pessimo tifoso perche’ non ho accettato in quei casi il rischio di passare la notte per strada pur di rimanere fino al fischio finale ?

    • Newthor ha detto:

      Se uno dice di non comprendere certi comportamenti, non significa che reputi chi si comporti in quel dato modo “meno tifoso”!
      Ognuno è tifoso a modo proprio.
      C’è chi le partite ama guardarle in compagnia e chi da solo; chi smadonna dal primo al 90imo e chi invece non proferisce parola…
      Chi difende ad oltranza giocatori ed allenatore e chi invece dice di loro peste e corna; chi sceglie di andare allo stadio e chi invece preferisce stare a casa.
      L’importante è riuscire a gioire per la propria squadra!
      E nessuno ha titolo per distribuire agli altri patenti da tifoso!
      E sono certo che non sia questa l’intenzione di Marcacci.

      • Geppo ha detto:

        Beh ‘nsomma, magari non la mostra apertamente l’intenzione, ma ci va molto vicino. Dato che non può davvero “non capire”, perché suppongo che non sia uno stupido, allora quella che si legge è retorica fine a sé stessa, e mi chiedo a che scopo farla altrimenti.
        Daje Roma!

  2. Max ha detto:

    Ma che vi frega se uno esce prima. Magari ha il figlio piccolo e non vuole farsi il traffico. Magari ha un appuntamento.
    Ognuno fa come gli pare. Vivete tranquilli voi che non vi perdete neanche un secondo di una partita. E’ sempre calcio, ci anche sono cose più importanti.

  3. Stefano ha detto:

    Caro Paolo, sono anni che esco all’88, aggiungerei purtroppo ma tu non tieni conto che due ore per tornare a casa sono troppe. La scelta è dolorosa ma per la qualità della vita è per l’amore che ho per la Roma 5 minuti si possono sacrificare pur di andare allo stadio.
    Forza Roma

  4. gae 57 ha detto:

    Caro Paolo,
    lascia stare. E’ tempo perso, non capiscono e basta.

  5. Stefano ha detto:

    Grande articolo , grande senso reale di essere romanisti. Quel “prima” l’ho usato tutta la vita per lo stadio. L’ho usato anche in quella finale rubata dal Liverpool, entrai alle 11.30 del mattino ,Tevere non numerata e ci davamo il cambio per stare seduti almeno fino all’inizio poi tutta in piedi fino a mezzanotte … Non si va a tifare Roma se vai via per evitare il traffico vai là domenica al centri commerciale ….ciaone

  6. Newthor ha detto:

    @ Geppo
    Quella che tu chiami retorica, io invece la considero quasi poesia.
    Ma, quale che sia la Ns valutazione soggettiva, è chiaro che l’articolo voglia descrivere un modo di essere, uno stato d’animo che noi tutti tifosi conosciamo bene, cioè l’essere romanisti.
    Daje!