Occhio alla penna | Ginulfi, orgoglio romanista
Paolo Marcacci e il suo ricordo di Alberto Ginulfi, storico portiere della Roma scomparso queest'oggi ad 81 anni
Foto Romanews.eu

La sua storia calcistica con la Roma è anche una specie di trattato sull’arte dell’attesa, sulla capacità di esercitare quella pazienza che altri non sarebbero stati in grado di esibire, prima che arrivasse davvero il suo momento. Perché Alberto Ginulfi, rivelatosi portiere nato sin da ragazzino, durante la trafila delle giovanili si era guadagnato la fama di imbattibile, quindi l’esordio in Serie A nell’ottobre del ’62, in un Roma – Lanerossi Vicenza.
Da quel momento fino all’estate del 1969 gli è toccata una pluriennale anticamera, all’ombra di Cudicini prima e di Pizzaballa poi: nel ricordare quelle stagioni trascorse a far da secondo a due grandi titolari, Ginulfi più che la frustrazione per le poche presenze ha sempre sottolineato la possibilità di imparare da due colleghi così forti ed esperti. Già questo particolare la dice lunga sulla tempra dell’uomo, ancora prima che sulla forza caratteriale di un portiere che all’alba degli anni Settanta si è preso la scena tra i pali della Roma, vincendo subito la Coppa Italia del ’69 e, tre anni dopo, il Torneo Anglo – Italiano del 71/72. La sua era nella Capitale volge al tramonto al giro di boa della stagione 74/75, quando inizia l’epoca di Paolo Conti. La sua carriera prosegue l’anno seguente a Verona, da titolare che contribuisce al raggiungimento della salvezza e della prima finale di Coppa Italia scaligera. Il 76/77 a Firenze, quindi la stagione a Cremona, per chiudere la carriera con un campionato cadetto da titolare.
Una storia calcistica importante, durante la quale Ginulfi ha onorato l’appartenenza alla città e alla squadra nelle quali è nato ma, quando è giunto il momento, ha saputo proseguire altrove. Con un fiore all’occhiello, un unicum per il calcio italiano: il rigore parato a Pelé, il 3 marzo del ’72, durante l’amichevole tra Roma e Santos.
/E un giorno, credi
Questa guerra finirà
Ritornerà la pace
E il burro abbonderà
E andremo a pranzo la domenica
Fuori porta, a Cinecittà
Oggi pietà l’è morta
Ma un bel giorno rinascerà
E poi qualcuno farà qualcosa
Magari si sposerà…/ e qualcun altro sarebbe diventato un gran portiere, come quel bambino nato nel quartiere poco meno di due anni prima del bombardamento di San Lorenzo del 19 luglio del 1943, cantato da Francesco De Gregori: Alberto Ginulfi, romano due volte, come tutti i sanlorenzini che non hanno bisogno della prossimità dei più celebri monumenti da cartolina per sentire sotto la pelle l’anima più autentica della città: quella popolana nel senso più elevato del termine; non banalmente popolare come pretendono certi sguaiati stereotipi cinematografici da commedia all’italiana.
Lui, quell’anima, l’ha sempre avuta cucita dentro i guanti, anche quando ha abitato dentro pali tanto lontani da Roma, tanto distanti dalla nitidezza del suo cielo, dagli accenti del suo dialetto che connotano un’identità non limitata dalla scadenza dei documenti.
Paolo Marcacci