Neri: “Di Francesco era sempre attento ai particolari. Non me ne vogliano a Madrid ma tiferò Roma”

NERI INTERVISTA MATCH PROGRAM – Ha girato mezzo mondo per ragioni lavorative. Partendo dalla provincia italiana, arrivando alla Juventus e finendo alla nazionale inglese. Oggi è nello staff di Marcello Lippi nella rappresentativa cinese, vive nel continente asiatico. Di mestiere fa il preparatore atletico ed è uno dei migliori esponenti della scuola italiana: “Con Pincolini, Febbrari, Carminati aprimmo una nuova strada in questa professione”. È stato anche il preparatore atletico del Real Madrid nella stagione 2006-2007, ma soprattutto è nella storia romanista per essere diventato campione d’Italia nel 2001 con la Roma di Capello. Sempre da preparatore atletico. Lui è Massimo Neri, intervistato da Tiziano Riccardi per il Match Program. In questi giorni si trova nella Capitale, “ma vedrò la partita di Champions da casa, con mia moglie. Preferisco non andare allo stadio”.
Se dovesse scegliere un risultato per la partita di martedì?
“Non me ne vogliano gli amici di Madrid, ma preferirei senza dubbio una vittoria della Roma. Sono romanista da sempre, il mio primo titolo l’ho conquistato in giallorosso, lo scudetto fantastico del 2001. Non c’è match…”.
Che ha rappresentato per lei il periodo in giallorosso?
“La prima chiamata importante nella carriera e il primo titolo conquistato. Inizialmente con Mazzone negli Anni 90 e successivamente con Capello. Nel 2001 la squadra era fortissima, con un Francesco Totti a 25 anni nel pieno della maturità calcistica. Aveva mezzi fisici e tecnici impressionanti”.
A proposito di Capello: in diverse uscite pubbliche, l’ex tecnico della Roma, ha raccontato che quando arrivò a Trigoria non trovò una grande organizzazione. È vero?
“Credo che Fabio abbia portato nella Roma regole e disciplina come mai in passato. Doveva funzionare tutto: dal giardiniere allo staff tecnico. Ha cambiato il modo di pensare e, guarda caso, la squadra è rimasta ai vertici del calcio italiano anche dopo il suo addio”.
Lei nella Roma del 2001 lavorò anche con Eusebio Di Francesco, allora calciatore. Si sarebbe mai aspettato che potesse diventare allenatore?
“Non ho particolari ricordi in questo senso, ma Eusebio mi colpiva per un aspetto. Era sempre attento ai particolari, si interessava dei metodi di lavoro a tutti i livelli. Era un ragazzo a modo, curioso, peccato che per un infortunio rimediato a inizio anno non riuscì a incidere tanto sul tricolore finale. Ma riuscì a ritagliarsi uno spazio nelle ultime giornate. Meritava anche lui quello scudetto”.
Poi Capello nel 2004 andò alla Juventus e si portò anche lei nello staff come preparatore atletico. Che effetto le fa ripensare a quei giorni?
“Fu un passaggio clamoroso e inaspettato, soprattutto tra i tifosi che restarono spiazzati. Seppi del trasferimento tardi, quando tutto era già compiuto. Lasciare la Roma poteva rappresentare un trauma, soprattutto per andare alla Juventus, ma l’alternativa era restare a casa e cambiare lavoro. Noi siamo professionisti, quando si ha una possibilità bisogna coglierla e fare del proprio meglio. Certo, non sono diventato un tifoso bianconero”.