• Massimo Cecchini a Romanews.eu: **´Noi giornalisti, spacciatori di calcio´

    Redazione RN
    09/03/2009 - 0:00

    “A volte vivo giorni con un peso sull’anima: contribuisco a drogare la gente, ovviamente col calcio. Contribuisco, mio malgrado, all’assuefazione in un Paese in cui il pallone non è più forma di spettacolo, ma modo per non pensare e, a chi conviene, per non far pensare…”.Le scale dell’edificio che ospita la sede della Gazzetta dello Sport sono testimoni, come noi, della confessione di Massimo Cecchini. Il calcio, descritto come una guerra di religioni, lo ha progressivamente allontanato dalla visione romantica che da giovane aveva del suo mestiere. Il distacco emotivo, da una parte, lo ripaga in termini di obiettività. Ma nel racconto della sua più grande soddisfazione professionale – l’aver scongiurato, con un articolo scritto quando lavorava per la Nazione di Firenze, lo sfratto di due anziani – c’è tutto il rammarico per un ideale di giornalismo che oggi non ‘vende’ più. Così, la missione di demitizzare lo sport, soprattutto in una città come Roma, ha più l’aspetto di un’utopia. Tra personaggi che soffrono della ‘Sindrome di Napoleone’ e ‘Imperatori’ che utilizzano il calcio come ‘panem et circenses’, Massimo Cecchini si sente a disagio.Raccontare la Roma è il suo pane quotidiano: è un pasto difficoltoso?”Fare informazione a Roma è difficile in assoluto. Tanto più sulla Roma. Il nostro mestiere, purtroppo, viene visto come una questione di tifo: divulgare certe notizie, agli occhi di molti, equivale ad essere nemico o a favore della squadra. Personalmente non sento di rientrare in queste due categorie.  La Roma è il mio lavoro quotidiano, pur essendo tra i pochi giornalisti che la seguono senza essere romano o essere tifoso. Il fatto di non essere coinvolto emotivamente mi ha aiutato a scrivere con le mani libere, il che non significa esente da errori, ma senza avere a che fare col tifo. Sono abruzzese, di Teramo, ma ho vissuto a Firenze, a Milano e vivo qui “solo” da 16 anni. E’ innegabile che se la Roma centrasse sempre la Champions League per me sarebbe solo un beneficio, soprattutto in termini di visibilità che posso avere sul giornale, per radio o altrove, ma da qui a dire che uno debba fare la velina di Trigoria o a fare da cassa di risonanza solo alle leopardiane ‘magnifiche sorti e progressive’ che la Roma vuole far passare come immagine di sé, ce ne passa: non farei bene il mio lavoro. Quante volte avete sentito gli allenatori chiedere ai giornalisti di ‘remare nella stessa direzione’. Ma la mia non può essere la loro. Io rispondo ai lettori, non alle società. Ripeto, magari sbagliando, però con la mia testa”.Da qualche tempo un certo nervosismo regna nella sala stampa di Trigoria.”L’allenatore da un un paio di mesi mi pare molto nervoso in conferenza stampa anche con giornalisti di chiara fede romanista e di provata ossequienza spallettiana. A volte sembra avere la ‘Sindrome di Napoleone’, perchè si dimostra insofferente a qualsiasi critica o riflessione che possa metterlo in discussione. Mi rendo conto che Roma, quando vince, lo fa vivere sopra una nuvola, mentre quando perde lo critica in modo eccessivo. Porre delle domande scomode non fa mai piacere: ma l’attualità costringe il giornalista a farle. L’altro giorno sulla Gazzetta ho scritto che Benedetto Croce spiegava come il giornalista capace di far bene il proprio lavoro dovrebbe ogni giorno dare un dispiacere a qualcuno. Ecco, nessuno di noi si pone questo obiettivo, ma da qui a non disturbatore il manovratore, come si vorrebbe, il passo è lungo. Per me, troppo”.Il ruolo del giornalista: mediazione tra notizia e opinione pubblica?”Così dovrebbe essere. Probabilmente questo meccanismo a Roma è andato un po’ perduto, perchè c’è una tifoseria che crede di non aver bisogno della mediazione visto che pensa di sapere già tutto. Del resto questa è una città di chiacchiere, gossip e sussurri, che talvolta possono essere anche veri. Poi c’è questo fenomeno straordinario e peculiare delle radio locali, che mettono qualsiasi tifoso in condizione di diventare opinionista per quei cinque minuti di celebrità che Andy Warhol pensava toccassero a pochi, invece qui toccano a tutti. Stiamo parlando di un fenomeno molto affascinante e complesso, ma anche variegato al suo interno: ci sono radio che attraggono un pubblico piuttosto che un altro. Ma il problema non è questo. Il fatto è che se si va contro l’opinione di quel conduttore o di quell’ospite, il rischio non è il confronto ma l’insulto. Gratuito, volgare, menzognero. Con tanta gente che, in buona fede, finisce per credere a tutto quel che ascolta dallo sgrammaticato oracolo del giorno. E come fai a dire che non è vero? A difenderti? Vedi, la differenza di base in fondo è una sola: al di là della vetrina, dal punto di vista economico la mia vita non cambia se scrivo di Roma o di altro, invece c’è gente che trovano la loro ragion d’essere in termini di sopravvivenza solo se parlano della Roma, e quindi – vero o falso he sia quello che dicono -l’so che fanno del loro tifo è innanzitutto funzionale. Per questo alla fine ci sarà una differenza dal punto di vista dell’obbiettività? Ma tanto, se prima mi addoloravo, oggi non ci faccio più neppure caso. D’altronde, a chi importa? Credo che i tanti tifosi ormai siano entrati in quella spirale che neppure vogliono prendere in considerazione una opinione diversa dalla loro”.La Roma ultimamente attira le attenzioni degli psicologi: bella e travolgente quando è in giornata di grazia, altre volte irriconoscibile.”Ciclicamente capitano dei black-out come quelli di Bergamo o di Siena. Fanno parte del dna della Roma spallettiana e probabilmente rappresentano dei limiti. A prescindere dalle scelte di formazione, sulle quali non credo che si possa dire molto, talvolta quella di Spalletti si presenta come una squadra molle dentro, con poca voglia di correre. Restando in ambito ‘psicologico’, la Roma sembra afflitta dalla ‘Sindrome di Cenerentola’: ovvero dalla sensazione di essere la sorella povera di altre sorelle più belle, mentre lei sarebbe più bella delle altre, ma il destino cinico e baro l’ha messa in condizione di dover vincere tre scudetti in ottanta anni di storia”.Mercoledì sera la Roma è attesa ad una prova durissima: ribaltare il risultato dell’andata contro l’Arsenal.”Tutto sommato credo che la Roma possa farcela a passare il turno. Ritengo che l’Arsenal possa pagare il gap della giovane età media complessiva. E quella dell’Olimpico sarà una partita sul filo dei nervi. Peccato per le tante assenze: da tutte e due le parti”.Che idea si è fatto della polemica tra Mourinho e Spalletti?”Una polemica in cui Spalletti ne è uscito complessivamente meglio, rispondendo stavolta anche con misura e stile. Io credo che nei “mind games” di Mourinho, cioè dichiarazioni strumentali, però penso che il suo sparare a zero non faccia bene a nessuno. Tranne forse su un argomento: la prostituzione intellettuale dei giornalisti. Il termine è un po’ forte, ma mi chiedo: ci fermiamo mai a riflettere come i giornali di Torino tutelino la Juve, quelli di Roma la Roma, quelli di Napoli il Napoli e via dicendo: possibile che tutti i giornalisti di quell’area geografica abbiano tutti la stessa idea e, guarda caso, sostanzialmente simile a quella dei tifosi delle loro squadre di riferimento? Ovvio che non è così, solo che, invece di raccontare al pubblico quello che succede, si cerca di non scontentarlo, di ingraziarselo, di lisciargli il pelo. Non sarà prostituzione, ma di certo un’abdicazione al ruolo di obiettività che ci viene chiesto di sicuro. Sapeste quante volte ho sentito dire a colleghi di tutta Italia: ‘So questa cosa, ma non la posso scrivere’. Tutti poi diranno che gli altri fanno lo stesso, ed è vero, ma se non è un circolo vizioso questo… Vizioso, appunto. Io penso sempre a una frase di Martin Luther King che diceva: ‘Se tu sei uno spazzino e hai solo il compito di spazzare una mattonella, fallo nel migliore dei modi possibili, senza pensare a cosa faranno gli altri’. Ecco, io ho la mia mattonella e cerco di tenerla pulita, poi se qualcuno (anche in Gazzetta) può sporcare, il problema sarà il suo, non il mio. Io proverò a fare del mio meglio, pur sbagliando. Non mi posso né consolare né giustificare dicendo che altri fanno peggio di me, sono più faziosi di me o sono più “prostitute” di me. Occorrerebbe ripensare il nostro ruolo, per questo agli occhi dell’opinione pubblica il nostro gradimento – stando ai sondaggi – ormai è ai minimi storici. E’ colpa anche nostra. Postilla: la qualità cronistica in senso stretto che ho visto a Roma non l’ho mai vista da nessuna parte. Nei miei 15 anni romani ho scoperto dei giornalisti bravissimi, aggressivi, un po’ figli di buona donna ma fantastici. Se fossi direttore, nella mia redazione ideale ne assumerei diversi. Penso che se uno sa farsi valere in questo ambiente, può lavorare ovunque”.Il caso Panucci ha tenuto banco per oltre un mese a Trigoria. L’orgoglio dei protagonisti ha avuto un ruolo importante in questa vicenda.”Il giocatore ha sbagliato nel modo più puerile e rumoroso. Rifiutare la panchina nel giorno in cui ci vanno due campioni del mondo è un autogol mediatico di proporzioni gigantesche. In generale si poteva arrivare ad una ricomposizione prima. Poi il nuovo errore delle scuse pubbliche dove mancava il nome dell’allenatore, al quale lui stesso additava come principale difetto quello della permalosità. Spalletti non dimentica queste cose. Il rischio è che sia la Roma a pagare. La società paga entrambi ed ha diritto di pretendere il meglio delle loro prestazioni. I compagni sembravano tutti abbastanza ‘gentili’ con Panucci, anche perché i giocatori vogliono solo vincere. Il resto conta poco. Detto questo, sono contento per il lieto fine. Peccato che mancherà in Champions. Non è un caso, comunque che l’orgoglio – e parlo di entrambi i duellanti – sia considerato un peccato capitale”.Panucci è uno dei tanti calciatori che si avviano a scadenza di contratto.”Ci sta di avere giocatori in scadenza, non deve essere un problema. Fa parte della mitologia del calcio citare Brady della Juventus che nella stagione 80-81 calciò all’ultima giornata, nei minuti finali, un rigore decisivo, sapendo che di lì a poco sarebbe stato sostituito da Platini. Con quel rigore la Juve vinse lo scudetto…”.Non le appare quindi un vizio, quello di portare i giocatori in scadenza di contratto?”Più che un vizio è una necessità. La Roma ha problemi di bilancio, che non hanno altre società. Deve avere la certezza di disporre di determinati introiti per potersi permettere certi esborsi. Se la Roma fosse seconda in classifica e sicura della qualificazione in Champions, certi rinnovi sarebbero più agevoli. Nella scorsa stagione tra stipendi e premi a Trigoria hanno speso novantuno milioni di euro. Una bella cifra, se si pensa che la Fiorentina, che ora galleggia sulle stesse posizioni, ne ha spesi trentacinque. La Roma non spende poco. Ma fra spendere tanto e tantissimo c’è un abisso. Il limite lo ha già valicato una volta e non vuole più correre rischi di essere impigliata in problemi economici seri”.Di recente, ha scritto che Aquilani potrebbe rinnovare con la Roma, per poi essere ceduto all’Inter. Una sorta di ultima cortesia…”Si tratta di uno scenario. Aquilani si sente ai margini della squadra. I suoi problemi fisici sono coincisi con quelli del rinnovo e con una contraddizione legata alla Nazionale: contro il Montenegro gioca una grande partita e segna due gol, nel suo club rimane fuori. Sono cose che capitano nelle società che dispongono di tanti giocatori forti. Lui soffre questa situazione più degli altri: perchè non è ancora esploso e perchè deve rinnovare. Poi ci sono i fischi dell’Olimpico, che per uno come lui pesano. Non so dire se riamarrà: molto dipenderà dal piazzamento della Roma in campionato e dalle opportunità. E dal fatto che Spalletti rimarrà in carica o meno…”.Come e quando è nato in lei il desiderio di diventare giornalista?”Mentre frequentavo il Liceo, pensavo che sarebbe stato bello vivere scrivendo. Campare facendo lo scrittore era una chimera. Certo, non pensavo mai di diventare giornalista sportivo: non era un mio obiettivo. Poi è stato il destino a decidere per me: dopo tanti anni da giornalista di cronaca alla Nazione di Firenze, al Centro di Pescara e all’Ansa, sempre di Firenze, mi è stata data l’opportunità di andare alla Gazzetta dello Sport. Ora mi ritrovo ad essere responsabile di una rubrica importante come quella della Roma, poi piano piano è venuta anche la Nazionale. Ma come ti dicevo prima devo ammettere, però, di vivere il mio lavoro sempre più con un di senso di colpa: sono sempre stato appassionato di sport, ma mi accorgo che racconto una realtà diversa da quella con cui mi fronteggiavo io. Adesso ho a che fare con un atteggiamento verso il calcio che è simile ad una droga. Droghiamo i nostri lettori, che così non pensano alla realtà. Descriviamo questo sport come fosse una guerra di religioni e lo enfatizziamo in maniera enorme. Non riusciamo più a coglierne il lato dolce e se vogliamo poetico. Diventa tutta una guerra di truffatori che noi raccontiamo senza poesia, perché non ce la chiede nessuno e, tutto sommato, non interessa nessuno”.Si può forse raccontare il calcio quotidianamente con poesia?”Sì se c’è qualche giornale o qualche interlocutore che ti chiede di farlo. Perchè poi dipende dalle varie linee editoriali e da quello di cui ci si occupa. Se fai 15 righe di allenamento, è dura; se ti occupi di Pistorius è più facile. Ma il margine c’è ovunque, ma ripeto: a quale pubblico interessa? A quello che crede che gli arbitri sono tutti venduti? Ai tifosi che spediscono la pallottola minatoria a Collina? A chi accoltella i tifosi avversari fuori dall’Olimpico? A coloro che sbraitano per radio per sbarcare il lunario?”.Potrebbe rappresentare una grande sfida nel mondo del giornalismo?”Sarebbe una sfida superiore alle nostre forze. Occorrerebbe una specie di ‘direzione illuminata’, che dovrebbe prescindere dalle vendite e dall’audience fini a se stessi. Già è molto quello che facciamo noi alla Gazzetta: una commistione tra un giornale sportivo e di cronaca, perchè i lettori possano avere un’infarinatura di informazioni di base. Purtroppo ci rivolgiamo ad un pubblico che sa poco e non gli interessa sapere di più. Se sai tutto su Totti e non sai nulla sui mutui subprime, sul testamento biologico, sulla legge elettorale o sulla Cappella Sistina poi ti fregano nella vita. Chi ci governa, a prescindere dalla parte politica, vuole proprio questo: che pensiamo e ci arrabbiamo solo per il calcio. I vecchi anni di piombo sono finiti per trasformarsi in malinconici anni di cuoio: troppi che pensano solo al pallone e in modo isterico. Se la Roma fosse il centro della nostra vita, diventeremmo dei cattivi padri, dei cattivi cittadini, dei cattivi figli. Il rischio è quello di cadere nello stereotipo della canzone di Venditti: ‘Grazie Roma, che me fai senti’ importante anche se nun conto niente’. Ecco, tutti dovremmo contare a prescindere dalla Roma, dall’Inter, dal Milan. Ma per farlo occorre leggere, studiare, informarsi. E poi, per lo svago, avere informazioni su Totti, la Roma, l’Arsenal e via dicendo. L’altro giorno per radio ho sentito una cosa detta da un tifoso che mi ha messo i brividi: <<La frase più bella non è ‘ti amo’, ma ‘Roma in vantaggio’>>. Vedi, anche per alimentare questo ambiente io un pizzico di responsabilità me la sento. Piccolo esempio: hai provato ad andare su Facebok o sui blog per leggere quello che è stato detto su Balotelli dopo Inter-Roma? Il rigore più o meno fasullo a questo punto è un particolare: si può percepire tanto odio, tanto razzismo, tanta voglia di farsi giustizia da soli solo per un rigore o una simulazione? Questa carica d’indignazione non sarebbe molto più produttiva se fosse messa a disposizione della società, per cercare di mettere un riparo alle tante storture che ci circondano e riguardano la nostra vita, la nostra vita vera, assai più di un rigore dato o non dato? Davvero per sopravvivere dobbiamo per forza dare ragione a questa gente? Davvero è impossibile cercare di far capire quanto sia esagerato tutto questo?”.Quella del giornalista, in questo senso, è anche una missione?”Quando iniziai a fare il giornalista, avevo una visione molto romantica di questo mestiere: pensavo di poter risolvere, nel mio piccolo, i problemi delle persone. O quantomeno di aiutarli. Magari scrivendo dei pezzi con un approccio intelligente. Di sicuro non pensavo di drogare la gente. Io credo che il servizio sia andato troppo oltre. Perchè ha il potere di orientare la giornata delle persone. Occuparsi di Roma è occuparsi di amore, come emerge dall’ultimo libro di Alessandro Catapano, ma l’altra faccia dell’amore è diventata un fatto di odio. E a questo francamente non ero pronto, ma d’altronde è cambiata la società in cui viviamo. E il potenziamento dei mezzi di comunicazione, dalle radio a internet, ormai non fa altro che catalizzare gli aspetti più deleteri del tifo. Fare il giornalista di carta stampata, in fondo, è quasi come andare alla guerra con arco e frecce: un po’ demodé. D’altronde non fanno altri che raccomandarci: ‘Mai pezzi più lunghi di 40 righe, altrimenti il lettore si annoia’. Peggio per lui che ne saprà di meno, mi verrebbe da rispondere. Ma poi tutti dobbiamo vivere e ci adeguiamo agli ordini superiori”.Il calcio si presta, più di altri sport, a seminare questo sentimento?”Il calcio come è raccontato da noi sì. Per questo parlavo di grandi responsabilità dei giornalisti. Ho letto le vostre interviste ai colleghi, quando chiedevate la più grande soddisfazione in termini professionali…”.Un secondo. Una domanda: quale è stata la sua più grande soddisfazione in termini professionali?”Difficile dirlo. Ricordo con piacere di quando lavoravo alla Nazione e andai ad intervistare due anziani sfrattati che misero le poltrone in mezzo alla strada. Pubblicammo una foto in prima pagina e demmo risalto al problema degli sfratti. Gli anziani tornarono a casa e io mi sono sentii utile, un pizzico importante. Adesso che faccio di utile? Racconto la conferenza stampa di Spalletti, o come sta Totti? Se dico che è una cosa utile, in senso stretto, prendo in giro gli altri e me stesso. Soprattutto visto l’uso che si può fare delle mie parole”.C’è un rimedio a questo calcio che allontana dalla realtà?”Bisognerebbe demitizzarlo, destrutturalizzarlo, semplicemente non prenderlo così troppo sul serio. Io mi rendo conto che se la Roma compra Ibrahimovic, in estate il tifoso sogna per tre mesi. E questo è bello, ma lo è nella misura in cui uno coltiva un amore. Qui tutto quello che si scrive viene usato per alimentare l’odio. Se scrivo che la Roma ha quasi venti milioni di debito con l’erario, io divento un nemico della Roma, mentre magari se fossi un tifoso giallorosso mi farebbe piacere. Penserei: cavolo, allora non potrà comprare Torres, forse potrebbe arrivare Floccari. E se ho questi dati che devo fare, non devo scrivere? O devo farmi odiare per questo? E’ giusto? Ci sono temi più importanti della conferenza di Spalletti. Ci sono gli aspetti economici ad esempio, che prima erano sconosciuti. Il fenomeno degli Ultrà, la violenza  la gestione dei biglietti, le trasferte. Dico: andiamo a vedere cosa c’è dietro. Invece anche qui i soliti luoghi comuni: “i nostri meravigliosi tifosi”, “chi fa azioni cattive non è un tifoso”. E magari invece l’ultra con fedina penale non proprio immacolata sta ogni domenica allo stadio, viene ripreso dalle telecamere e finisce pure per poter entrare a Trigoria assai più facilmente del bambino che vuole l’autografo. Bello, no?”Il calciatore, un mito.”Dei nostri giorni. In un’intervista di Orianna Fallaci a Rivera, la giornalista lo chiamò per tutto il tempo Rovere, e lo scrisse. Stiamo parlando di uno dei più grandi giocatori italiani di tutti i tempi. Dopo mezz’ora lui timidamente alzò il ditino e disse: ‘Scusi, io veramente mi chiamo Rivera’. Raccontò di dormire su un divano nel salone di casa di mamma e papà. Eppure era già famoso, firmava autografi, era benestante. Adesso i nostri interlocutori sono multinazionali vere e proprie. Abbiamo a che fare con interessi e con persone che non hanno nulla a che vedere con il mondo della realtà. Sono semidei. Appartengono a tutti gli effetti alla categoria degli artisti, degli uomini di spettacolo. Con la differenza che difficilmente si prestano a farsi veicolo di messaggi socialmente rilevanti. Perchè i cantanti e gli attori possono firmare appelli contro la pena di morte e i calciatori no? Perché non entrano in contatto con la società come succede di più in altre nazioni? Forse non è un caso che Marcello Lippi dice che gli italiani nei confronti degli arbitri sono quelli più maleducati. Secondo voi i torti li subiscono solo le nostre squadre? Certo, i ragazzi In parte sono giustificabili perchè hanno dalla loro l’attenuante della gioventù, ma hanno tanto tempo libero per poter crescere. Ma i presidenti? Gli allenatori? Prigionieri, loro e noi, dei luoghi comuni. Il 70% delle interviste o conferenze stampa sono realmente da buttare. Domenica lo ha detto in tv anche Arrigo Sacchi: ognuno pensa di non dire mai la verità per non dare crearsi problemi col possibile datore di lavoro futuro. Domanda: ma se non hanno il coraggio delle proprie opinioni, in tutti i campi, professinisti che guadagnano milioni di euro l’anno e che avrà un futuro assicurato a prescindere da quando chiuderà l carriera, cosa dobbiamo pensare di tutti coloro che portano avanti battagli sociali, sindacali, politiche, magari anche antimafia o anticamorra, vivendo solo di stipendio normale? Saranno più “miti” loro o quelli che si trincerano dietro i soliti: “Non posso, non voglio, non m’interessa”?”.Torniamo a Rivera, uno dei più grandi di tutti i tempi. Il podio degli italiani da chi è completato?”Riva doveva essere una cosa fuori dal comune, una forza della natura. Poi mi vengono in mente Baggio, Maldini e Facchetti”.E Totti?”Verrà ricordato anche lui tra i più grandi. Tra i primi tre-quattro forse no. Ma non è stata colpa sua. Credo sia stato il giocatore più forte che abbia visto dal vivo: assieme a Zidane e Ronaldo e Cristiano Ronaldo. Per me è una enorme fortuna che il mio periodo professionale accanto alla Roma sia coinciso con la sua presenza: sono stato un privilegiato nel seguirlo e nel poter parlare di lui. Mi sembra una bella persona”.Qual evento sportivo, tra quelli che ha seguito da giornalista, le ha dato di più?”Il mondiale, non c’è dubbio. Si respira un clima straordinario. I tifosi che non si odiano ma sono lì per fare il tifo e basta: è meraviglioso”L’intervista alla quale è più legato?.”A livello professionale la prima a Capello dopo lo scudetto del 2001. Lui era in vacanza, lo beccai tra la Spagna e l’Inghilterra. Facevo la Roma da un mese. Lui fu un po’ polemico con Sensi, sugli acquisti che il presidente voleva fare. Ricordo con piacere quell’intervista perchè mi accreditò presso il mio giornale. Dimostrai che potevano fidarsi di me. Con Capello, poi, non è mai facile: bisogna fare le domande giuste, se non sei preparato ti liquida in poco tempo”.L’intervista che non ha mai fatto.”Mi piacerebbe poter far parlare Baggio a cuore aperto. Sono sicuro che avrebbe tante cose da dire. Anche extracalcistiche. Su cose di altro genere, mi piacerebbe intervistare lo scrittore americano Philip Roth e David Bowie, un mio mito dell’adolescenza, come i Led Zeppelin e i Genesis”.Come giudica Romanews.eu?”Un sito molto interessante, uno strumento di cui mi avvalgo spesso nella mia giornata”.Massimo Cecchini come consuma il suo tempo libero?”Provo a fare il padre. Ho due gemelle che vogliono tanto, pretendono tanto e hanno diritto di farlo. Poi provo a ricollegarmi alla mia vita, quella che mi piaceva da ragazzo. Scrivo (per me), suono la chitarra in un gruppo, leggo molto e seguo il cinema. Da giovane volevo fare il critico cinematografico. Il cinema è un po’ come il calcio: tutti, a torto o a ragione, pensano di poter fare i critici. Mi coinvolge così tanto che ne parlo pochissimo con gli altri, anche se apprezzare il cinema per me significa partire dagli anni Venti, dai grandi maestri del muto per poi andare avanti, non solo andare a vedere l’ultima cosa che esce in prima visione. E’ come se uno pensa d’intendersi di pittura perché apprezza Van Gogh, ma non conosce Giotto o Piero della Francesca. Ma capisco che studiare faccia fatica…”A proposito di cinema, perchè le storie che attingono dal calcio non riscuotono successo al botteghino?”Perchè il taglio che diamo al calcio è estremamente settoriale. Quando diciamo che siamo un paese di commissari tecnici è vero. Su questo sport ognuno crede di avere la realtà in tasca, quella vera, quella giusta. Quando vai a vedere un film, entri necessariamente in un taglio. La visione dei registi che hanno attinto dal calcio non può andare bene, perchè non coinciderà mai. Possiamo più facilmente avvicinarci al basball e al football raccontati da Hollywood, perchè non sono i nostri sport e c’è più spazio per l’acquiescenza, per l’accettazione dell’opinione altrui…”.Se dovesse scegliere una storia di calcio da consegnare al grande schermo?”Non so, dovrei pensarci in po’ su. Di certo ce ne sono molte. Come quella del capitano della nazionale austriaca che si rifiutò di giocare con la Germania nazista e perse tutto. Ma anche quella di Meroni o di Superga. Sono storie che hanno un impatto immediato, perchè affondano le loro radici nel mito, nell’archetipo collettivo: vicende che si muovo dentro l’uomo da sempre. Sarebbe bello vedere raccontata anche la storia di Rocca: mi affascinano quei personaggi benedetti dagli dei e maledetti dalla sorte. Quelli che non sempre vengono ricompensati dalla Dea Bendata…”Perchè non sempre esiste un tempo ed un luogo per il riscatto di coloro che sono stati benedetti dagli dei e maledetti dalla sorte?”No, non sempre. Non in questa vita. In un’altra sicuramente”.La Finale di Champions può rappresentare un momento di riscatto per questa città?”Se davvero Roma aspetta quella coppa per riscattarsi, allora questa non è una società sana, significa che siamo ammalati dentro, che niente di serio ci fa più effetto davvero. Anche se le mie figlie fossero le più felici del mondo e se mia moglie attaccasse la bandiera alla finestra — come succederebbe —, la mia vita sarebbe comunque fatta di altre cose. Vorrei una città in cui non accadesse uno stupro ogni cinquanta giorni, ad esempio, o non fosse devastata dall’abusivismo edilizio in certe aree, o so facesse di più per chi non ha nulla. Vedere la Champions come il riscatto di una città è tristissimo e penso che faccia comodo a tutti coloro che avrebbero la forza e la visibilità di salire sul carro dei vincitori. ‘Panem et cercenses’: gli imperatori facevano in questo modo, ma noi davvero vogliamo vivere solo una vita da sudditi drogati di calcio?”.Simone Di SegniLe puntate precedenti della nostra rubrica:Guido D’Ubaldo – Corriere dello SportLuca Valdiserri – Corriere della Sera

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