L’ultimo lancio lungo di De Rossi lo porta lontano da Roma

EDITORIALE – Dall’Anderlecht al Parma. Nel mezzo 18 anni di amore, sudore e ragione. Daniele De Rossi non sarà più un calciatore della Roma a partire dalla prossima stagione. Non perché lo abbia deciso lui ma perché la società gli ha comunicato di non volergli rinnovare il contratto.
Si chiude dunque il cerchio: dopo Francesco Totti, sveste la divisa giallorossa anche Capitan Futuro, che ha fatto appena in tempo a vivere da “capitan presente” due sole stagioni. Poi, pronto il foglio di via anche per lui. La Roma si disfa in 24 mesi di due emblemi totalizzanti, Francesco e Daniele, figli di Trigoria, nati con questi colori, innamorati anche dei cespugli, dell’erba buona e dell’erba cattiva di Trigoria. Erba amara, come il boccone che il centrocampista di Ostia ha dovuto tirar giù, non oggi che si congeda dalla Roma giocata, ma da diversi mesi. Lucido non solo a parlar di pallone, ma anche delle sue vicende, quelle contrattuali, quelle per cui è arrivato l’ordine di rispondere di no: con De Rossi giocatore non si prosegue, chiedetegli se vuol fare il dirigente.
Proposta subito rispedita al mittente dal numero 16 di Ostia: “Mi sento ancora un calciatore e voglio continuare a giocare, il lavoro sporco lo lascio a Francesco (Totti, ndr)”. Il lavoro sporco sarebbe quello del dirigente che nella Roma conta ma fino a un certo punto, che non riesce a incidere, che non riesce a far decollare una società promessa grande, ma rimasta solo una grande promessa.
“Mi è stato comunicato solo ieri, ma io ho 36 anni e non sono scemo, e questo mondo lo conosco”. Durante la sua stagione più travagliata dal punto di vista degli infortuni, Daniele lo aveva annusato fin troppo bene che la maglia della sua infanzia l’avrebbe indossata ancora per poco. Se nessuno ti chiama per 10 mesi neanche per ipotizzare un contratto, il dado è tratto. Nonostante questo è rimasto fedele alla serenità della sua Roma e ha scelto di tacere per non “creare rumori che potevano distrarre”.
De Rossi certi rumori li conosce bene, lui che ha iniziato la carriera calcistica nell’Ostia Mare prima di approdare nel 2000 nelle giovanili della Roma, la squadra in cui suo padre Alberto aveva militato e di cui ancora oggi è l’allenatore della Primavera. Di anni nella Roma ne ha vissuti 18, mettendo in bacheca due coppe Italia, una Supercoppa e nel frattempo un mondiale con la maglia azzurra. Lui che avrebbe potuto vincere molto di più altrove esattamente come l’amico fraterno Francesco.
Era nelle cose che loro storie fossero accomunate dallo stesso destino di vedersi dir di no dalla squadra per cui hanno dato tanto e a cui avrebbero potuto dare ancora. Daniele però ha deciso di lavare subito i panni sporchi fuori casa, mentre Francesco lo ha fatto un anno dopo l’addio con alcune delle verità sull’addio “coatto” raccontate nella sua biografia.
E così mentre la Roma resetta il passato – due bandiere ammainate fanno un indizio – il nostro De Rossi sarà a calciare lanci lunghi e sradicare palloni in tackle in Argentina, negli Stati Uniti o chissà dove in Giappone. Ai tifosi della Roma non resterà più nulla della storia degli ultimi 20 anni, se non un foglio bianco da riscrivere e un rapporto mai nato con una proprietà e dirigenza che anche questa volta hanno dimostrato di non sapere leggere nell’animo di uno sport che non è solo calcio ma è soprattutto pallone.
Giulia Spiniello