Le trame di Lanzalone in Acea: “Da qui gestisco partiti e affari”

Redazione RN
21/06/2018 - 7:00

LA REPUBBLICA (D. AUTIERI) – Consulenze, epurazioni, regali, relazioni pericolose. A poche ore dal cda di Acea chiamato a risolvere il rebus della poltrona di presidente lasciata libera da Luca Lanzalone, si aprono squarci di verità sulle partite che il sistema affaristico di Luca Parnasi e i vertici dei 5Stelle hanno giocato all’interno della multiutility controllata dal Campidoglio. E su quella saldatura tra grillini e destra che, prima ancora del contratto di governo firmato da Di Maio e Salvini, è stata sperimentata nella più grande azienda romana.

Basta una frase, intercettata dai carabinieri, per sintetizzare la vicenda: «Con Acea sponsorizziamo tutto l’arco costituzionale». Le parole di Lanzalone a Parnasi assumono oggi un significato rotondo. Fonti qualificate interne ad Acea confermano che Lanzalone riceveva dagli assessori del Comune continue richieste di denaro e di sponsorizzazioni per finanziare eventi o iniziative politiche. «Non sono il bancomat del Comune», si sfogava il presidente. Una verità che fa il paio con un’altra rivelazione: oltre alla partita stadio, sul tavolo di Mister Wolf giacevano molti altri fascicoli, dal concordato Atac alle nomine di Ama, ai contratti di assunzione e licenziamento per gli uffici apicali del Campidoglio. E proprio sulle regole da seguire nella distribuzione dei quattrini è stata avviata, dal 2017 in Acea, la saldatura tra i parvenu della politica, nati nel Movimento e scaraventati nelle stanze del potere, e alcuni vecchi nomi, referenti imprenditoriali ai tempi del sindaco Alemanno.

È il caso di Enrico Cisnetto, rientrato di gran carriera lo scorso anno con due consulenze da decine di migliaia di euro. E come Cisnetto è tornata in Acea l’AdnKronos del giornalista Pippo Marra, e con essa si è affacciato Cesare Lanza, in cerca di un contributo da 30mila euro per la sua pubblicazione. L’attimo fuggente che proprio Lanzalone ha bloccato in extremis. Come dimostrano questi tre casi e come confermano le fonti interne all’azienda, è sulle consulenze che si è consumato l’assalto alla diligenza, un terreno scivoloso sul quale è caduto lo stesso Lanzalone.

I guai del presidente iniziano non con l’arresto, ma il 6 aprile scorso quando il sito “Dagospia” pubblica un articolo che allude a una relazione sentimentale tra il numero uno di Acea e la pierre Giada Giraldi. Quell’articolo per Lanzalone è un segnale chiaro: è sotto ricatto da chi occupa poltrone all’interno di Acea. Il presidente ne è certo e lo dice in azienda, ma ha le mani legate perché Giada Giraldi ha ottenuto un contratto di consulenza. Del resto è da mesi che in Acea i vertici sono in subbuglio, almeno da gennaio quando – come ricostruito da Repubblica – 12 addetti stampa vengono rimossi dal loro ruolo con una prassi così brutale da sensibilizzare la stessa Raggi che invia una lettera a Lanzalone chiedendo conto della faccenda.

La missiva è in realtà una sponda della sindaca al suo uomo rispetto agli scontri sempre più violenti con l’ad Stefano Donnarumma, più vicino all’ala dei 5Stelle che fa capo al presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito. Lo scontro si accende sulla divisione dei poteri, dalle sponsorizzazioni alle relazioni esterne fino all’audit. Un tira e molla sotterraneo sul quale ha avuto la meglio l’ad.

Ma il peso reale di Donnarumma emergerà in maniera chiara oggi, in seno al cda. L’organo di governo ha 9 consiglieri: uno (Lanzalone) non può votare, 4 sono di espressione del Comune e gli altri 4 degli azionisti privati (i francesi di Gdf Suez e Caltagirone). I privati per il momento stanno a guardare, mentre la battaglia vera si consuma tra le correnti dei 5S. Quella legata a De Vito vorrebbe il conferimento di un incarico ad interim e pro tempore a Donnarumma. Raggi invece parteggia per la nomina di una persona terza, magari una delle tre donne che siedono in cda. Solo al termine della seduta si capirà se la prima cittadina, da oggi sotto processo, ha avuto modo di esercitare la sua pressione. O se ha perso il controllo anche sull’azienda più strategica del Campidoglio.

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