L’analisi tattica di Roma-Gent. Giallorossi superiori ma la paura azzera il gap con i belgi

Redazione RN
21/02/2020 - 14:23

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L’analisi tattica di Roma-Gent. Giallorossi superiori ma la paura azzera il gap con i belgi

ROMA GENT ANALISI TATTICA – Ritorna l’Europa League con i sedicesimi di finale e ritornano, dopo un mese dall’ultima vittoria, i 3 punti. In un 2020 finora orribile e inspiegabilmente inadeguato, con una vittoria risicata, dai contenuti sconcertanti. I giallorossi sono autori di una gara dove l’aspetto mentale rimane, al triplice fischio finale, il problema e la criticità attuale più difficile da risolvere per Fonseca. Il tecnico portoghese è incapace di scuotere una squadra giovane dove la leadership dei giocatori più anziani rimane sempre più inesorabilmente presunta che reale.

Moduli e sviluppi di gioco

Thorup scende in campo coi suoi all’Olimpico con rispetto per il valore dell avversario ma anche con la percezione degli ultimi imbarazzi e paure che devastano l’ 11 giallorosso. Quello del Gent è un 4-3-1-2 molto pratico e ben scaglionato sul campo. Si prende via via la scena della gara con un palleggio scolastico ma efficace sugli appoggi. Fonseca mescola le carte con un modulo che nel primo tempo è più disegnato dai movimenti e atteggiamenti dei giocatori che dai numeri. Il 4-2-3-1 canonico di partenza si sviluppa sull’asse centrale dei 3 centrocampisti. Cristante fa il regista che si abbassa a costruire tra i due centrali mentre Veretout gli va in verticale sopra. Pellegrini disegna un centrocampo a 3 posizionandosi sul centro destra in posizione intermedia a sostegno dell’azione offensiva, tra Veretout e Dzeko. Il 4-2-3-1 è cammuffato da 4-3-3 con Carles Perez e Perotti punte esterne a piede invertito con Fazio preferito a Mancini che rifiata in panchina.

Un buon avvio ma poi la paura prende il sopravvento e fa uscire il Gent


Roma-Gent racchiude nei primi 20 minuti quello che dovrebbe essere, in condizioni normali, il copione di una gara dove i giallorossi sarebbero superiori e i belgi l’avversario chiamato a limitare i danni nella partita d’andata, per potersi poi giocare le chance in quella casalinga al ritorno. La Roma ha un avvio apprezzabile. Nonostante una circolazione palla non elevata, trova inizialmente le coordinate del suo gioco attraverso un pressing coordinato che consente il recupero palla in mezzo al campo, più che in avanti, in seguito ad una gestione ed uscita del palleggio basso approssimativo da parte dei belgi. Nonostante il ritmo non sia alto, la Roma trova sia i traccianti agevoli ed efficaci dentro al campo, sia un pressing che consenta il recupero palla. E proprio da un break in mezzo al campo di Veretout, che scarica su Dzeko, Carles Perez viene messo davanti al portiere dall’imbucata chirurgica del bosniaco. Il tutto nonostante lo spagnolo non avesse ancora compreso gli spazi da occupare, pur andando a giocare dentro al campo di raccordo e agevolando l’inserimento di Spinazzola (lo stesso avviene a sinistra con Perotti per Kolarov). La gara sbloccata dovrebbe dare serenità ai giallorossi e sgravarli delle tante paure e tensioni accumulate nelle ultime settimane. E invece cominciano a disegnarsi sul campo atteggiamenti e situazioni che nel proseguio della gara muteranno scenari e dinamiche. Il Gent, pur non avendo inizialmente grande qualità di palleggio, balla con i 2 attaccanti sulla linea difensiva giallorossa, pronti a buttarsi sulla profondità che l’atteggiamento con baricentro alto di Smalling e compagni concede. Quando la Roma allenta la pressione i belgi, con azioni elementari di sponda, cominciano a trovare linee di passaggio dentro al campo in maniera troppo semplice. I tempi del pressing dei giallorossi spesso sono ritardati (il solo Veretout riesce a trovarli corretti) e con l’indice di pericolosità che comincia ad alzarsi in maniera sinistra. La parte finale del primo tempo é solo lo sconcertante anteprima di quello che il tifoso romanista dovrà sopportare nel secondo tempo.

Ripresa in costante affanno. Tempi inadeguati e atteggiamento passivo

Si riparte con i 22 effettivi ma il Gent diventa padrone del campo come supremazia territoriale. Al tempo stesso appare evidente come i giallorossi non siano sereni. Cercano troppo spesso il passaggio semplice anziché imbucare palla tra le linee, oltre al poco o nullo movimento senza palla appunto tra le linee. Si tende a non forzare mai la giocata, a ricevere palla addosso, ed ai giocatori di Thorup è sufficiente salire e occupare la metà campo della Roma per inibirne l’uscita. Poi, con la minima pressione sul portatore di palla, lo obbligano a scaricare all’indietro, perché non c’è movimento senza palla in avanti. Una Roma composta da 11 giocatori slegati, in balia dell’avversario, ricacciata all’indietro in un 4-4-1-1 piatto che non da segnali di vita. Contemporaneamente il Gent trova conferma sulle paure degli uomini di Fonseca ,ora certificate dagli eventi sul campo.

Fonseca legge le difficoltà della squadra e la rianima con i cambi

Servirebbe velocità e qualità nella gestione palla e Fonseca legge opportunamente la possibilità di alleggerire la pressione avversaria e rianimare la squadra inserendo la qualità di Mkhitaryan. Al suo posto esce uno spento e inerme Pellegrini. Poi è il momento della velocità di Kluivert (esce Perotti), mentre Santon rileva la superficialità di Spinazzola che col passare dei minuti era ricaduto in certi atteggiamenti negativi di precedenti periodi. La squadra ritrova corsa per uscire da dietro e allungare e qualità nella gestione. Questo proprio grazie alla verve di Mkhitaryan, alla velocità delle due punte esterne, e a un secondo tempo con 11 giocatori paralizzati dalla paura di prendere iniziative che viene rianimato nel finale dai cambi del tecnico con la possibilità per entrambe le squadre di trovare la via del gol. Ma se da un lato un eventuale gol della sicurezza avrebbe regalato una gara di ritorno meno impegnativa ai giallorossi, dall’altro, in caso di realizzazione da parte dei belgi, l’impresa della gara di ritorno sarebbe diventata problematica per una Roma ancora convalescente e prigioniera delle sue paure e insicurezze.

Maurizio Rafaiani

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  1. I numeri dicono solo una parte del problema, anche se soprattutto nei momenti difficili è saggio ritemprare il centrocampo, filtro e origine del gioco. Troppi trequartisti, poco pratici e leggerini nei contrasti alimentano le iniziative avversarie e comunque non fanno goal, che sono infine i soli numeri che contano.

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