23 Gennaio 2011

IL PAGELLONE DI FRANCI. 10 a Menez, 9 a Vucinic e Mexes

IL PAGELLONE DI FRANCI – 10 a Jeremy Menez. Il boato che accompagna il suo ingresso in campo pare l’urlo di battaglia di Braveheart e i suoi guerrieri. E’ un po’ stizzito per la panchina inattesa, ma il broncio diventa sorriso quando il pallone torna a rotolare tra le sue regali estremità. E pian piano, la Roma brutta e tempestosa si trasforma in danza primaverile. E’ lui l’attor giovane della piece teatrale nella quale la Roma si specchia e si fa bella. Talvolta irridente come gli scritti di Goldoni, Jeremy inventa un’altra delle sue diavolerie a garretti stretti che schianta gli uomini dell’isola, bucando il povero Agazzi. Consentiteci un parallelo basso e scurrilotto, un sms da inviare a Ranieri: La Roma senza Menez è come la Ferilli senza tette.
10 a Michael Agazzi
Il nome stride sul cognome come la puntina rotta di un vecchio giradischi sui grandi successi di Gianni Morandi. In partita zompa qua e là e pare uno di quegli svelti animaletti che nei documentari prosperano felici su esotici tronchi. Poi però, forse vittima di un sortilegio, diventa lui stesso un tronco quando Juan la tocca piano di testa e la più facile delle parate diviene il gioco dell’anguilla. Lì c’è Perrotta che segna, lì c’è il popolo giallorosso che ringrazia  tira un sospiro di sollievo.
9 a Mirko Vucinic
Ormai guardiamo a lui e a Menez con l’occhio allupato. Quello dei ragazzotti discotecari che hanno appena adocchiato due belle gnocche in pista. E loro ripagano con quell’ancheggiar imprevedibile e cortese, repentino e irriverente che tramuta un solido ma incerto cingolato – è successo nel derby e con il Cagliari –  in uno di quei macchinoni extralusso con sedili in pelle umana.  I due si cercano, si divertono, parlano la stessa sublime lingua che incanta, irretisce, rapisce e ti riconsegna al mondo con un sorriso grosso così. Grosso quanto? Avete presente il derby? Ecco.
9 a Phil Mexes
Musica per le nostre orecchie quel clangore d’armatura che ne accompagna il fiero gesto. Che sia Acquafresca – troppo facile il gioco di parole con lui: mi astengo – o Nenè, tenero come un Kinder Bueno, o chiunque altro ci providalle sue parti, il cartello è sempre lo stesso: qui non si passa. E’ tornato quello di un tempo, anzi forse è anche più forte, perché la panchina gli ha tolto vezzi e svolazzi che ogni tanto ne macchiavano le prove.  E’ uno dei pezzi da esposizione della Roma, su questo non v’è dubbio. Nel senso di ‘guardare e non toccare’, perché il biondo non si vende. Giusto?
7 a Francesco Totti
Lo zaino colmo di numeri da leggenda – che siano quelli sul campo o in veste statistica cambia poco – se lo porta dietro con cadenzata fierezza. Vuole il gol numero 250 all’ombra della lupa e lo trova contro la seconda vittima preferita (13 gol, la prima è il Parma) calciando maschio un rigore che non può certo sbagliare. Quando la Roma zoppica – e succede per un’ora, finchè non entrano i due prestigiatori – si veste da illusionista e prova a trasformare zolle e cingolati in montblanc e pezzi di cioccolata. In mezzo a tanti piedi ruvidi finisce anche lui per sbagliare qualcosa, ma diamine,  ci mette tanta di quell’anima che non bastano le sette del film di Muccino.

5 a Michele Canini
Altro giro, altro Michele. In versione italiana vivaddio, senza rigurgiti esterofili. Il Michele in questione è tal Canini – dai fate la battuta: uno che azzanna gli avversari.. –che nell’occasione  pare il cugino del defunto polpo Paul, tanto s’aggrappa a De Rossi mandandolo ad annusar germogli. Il popolo della lupa lo ringrazi sentitamente perché fin lì la Roma pareva Alice nel labirinto. Il ragazzone poi si riprenderà, ma il regalo a Natale ormai archiviato è gradito e zuccheroso.

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