7 Aprile 2023

La nostra storia – Delvecchio, i 50 anni di mister derby

Oggi l'ex centravanti della Roma festeggia il compleanno spegnendo cinquanta candeline: ecco le principali avventure in maglia giallorossa raccontate da Paolo Marcacci

DELVECCHIO COMPLEANNO MONOGRAFIA – Dal novembre 1995 al gennaio 2005 in maglia giallorossa, contando complessivamente 300 presenze bagnate da 83 gol. Intensità e abnegazione tattica, con un “lavoro” differente a seconda delle richieste che dai vari tecnici s’è sentito rivolgere.

Marco Delvecchio, cinquant’anni oggi, cifra tonda per uno che romano non era in origine, che più di altri lo è diventato e che ha reso fertile la sponda giallorossa del Tevere per ogni occasione in cui il fischio d’inizio di un derby lo ha ispirato più di quanto una certa Silvia, che in realtà si chiamava Teresa, seppe fare un secolo e mezzo prima con un certo Giacomo. Vale la pena di ripercorrere ognuno di quei fremiti di rete.

La storia di Marco Delvecchio con la Roma

Cominciamo da quel 2001 che volle dire scudetto: per Delvecchio lavoro oscuro e indispensabile, qualche gol in meno: numeri e doveri ben diversi rispetto a quando recitava nel terzetto avanzato del tridente zemaniano. Ma tanta Lazio in più, datagli in pasto ad ogni stracittadina; ogni volta un passo verso Da Costa, ogni gol un pezzetto di Curva Nord che si sgretolava.

Siccome le reti sono come i sentimenti, che è bello veder affiorare in ordine sparso, cominciamo dalla settima, per due motivi: era il derby di ritorno della stagione 2000-2001, Lazio quasi “scucita” e Roma che stava amministrando il vantaggio, o riprendendo fiato se preferite.

Giallorossi già avanti grazie ad un giro di caviglia di Batistuta, tra l’altro servito a centro area proprio da un assist di Delvecchio, filato via sulla sinistra con un doppio passo quasi alla Biavati, lob morbido di Zanetti all’altezza del vertice sinistro dell’area e iper-estensione di Delvecchio che col mancino carezza in diagonale quel tanto che basta per far rotolare anche Peruzzi, incolpevole, in fondo al sacco. La seconda ragione per cui abbiamo cominciato da questa rete è che è stata anche la più bella.

A giudizio insindacabile…di chi scrive? Beh, non solo. Quel derby finì poi 2-2 (Castroman, chi era costui?) ma pochi mesi dopo nessuno più se ne ricordò. Prima, però, ci furono il terzo, il quarto, il quinto e il sesto: due doppiette, una per l’ultimo anno del primo Zeman romanista, l’altra per l’arrivo di Capello.

E vediamole, allora, queste doppiette, una più bella dell’altra, la seconda più rapida della prima: 11 aprile ’99, Lazio in odore di scudetto, testa a testa con il Milan; il derby del “Vi ho purgato ancora” di Totti, un 3-1 che alla Lazio fece malissimo e alle convinzioni dei laziali ancora di più, un derby stradominato dalla Roma, una Roma che seppe appagare anche il senso estetico, che fu ottima palleggiatrice e agonisticamente severa, udite udite senza concedere molto (c’era Zeman in panca eh) ad una Lazio che forse meritava più quello scudetto di quello che avrebbe vinto l’anno dopo grazie al naufragio juventino di Perugia. Delvecchio per due più Totti, un discount di emozioni, Roberto Mancini e compagni a testa bassa.

Altra doppietta, altra storia: primo anno di Capello, pragmatismo ancora senza risultati, dall’altra parte una Lazio che nel favore dei pronostici arrivava a vela a quel derby d’andata: 21 novembre e sempre il 1999, che declinava come una punizione a foglia morta di Assuncao.

Fu come un orgasmo collettivo, addirittura precoce, se fosse possibile individuare un difetto in quel pomeriggio romanista: in trentaquattro minuti fecero doppietta Montella e, ovviamente, Delvecchio; sotto la Nord, tra l’altro. C’era più gusto.

Ci tocca fare un saltino, per parlare dell’ottavo goal di Delvecchio in un derby. E che derby. E che saltino, bisogna aggiungere, perché a Delvecchio quella sera toccò scavalcare la sagoma di Nesta finito a terra sotto l’ipnosi dell’eterna finta da sinistra, prima di depositare in rete quell’uno a zero che poi Totti avrebbe trasformato in due.

La leggenda narra che ancora oggi Alessandro Nesta ogni tanto si svegli di soprassalto urlando di terrore, quando sogna la maglia giallorossa numero ventiquattro. Era il 27 ottobre del 2001, lo scudo già sul petto e un altro che sembrava impossibile potesse sfuggire alla truppa di Capello. Va beh, chiedere a Moggi e Giraudo per conoscere i particolari di quel campionato.

Adesso però, nel nostro disordine organizzato di sentimenti e ricordi, ripassiamo dal via, da un derby perso contro una Lazio resa già stellare dagli investimenti, dei quali qualche anno dopo si conobbe l’origine, di Sergio Cragnotti, quello a proposito del quale Franco Sensi disse: «Io sono un imprenditore, lui un finanziere» e quanto aveva ragione.

Ancora una volta d’autunno, primo novembre del ’97, Lazio avanti già di tre, passivo che sarebbe stato da record, se Delvecchio non c’avesse messo lo zampino. Anzi no, la testa, a pizzicare l’angolino basso alla sinistra di Marchegiani, su un cross che sembrava provenire direttamente dalla Tevere.

Sempre di ottobre e sempre di ventisette, arrivò il nono, su una percussione per vie centrali di Emerson che favorì l’inserimento di Montella con battuta a rete e parata a terra di Peruzzi, che non trattenne: nemmeno Delvecchio seppe trattenersi, lì nei pressi; momentaneo uno a uno di un derby che poi sarebbe finito due pari, con tanto di rigore parato a Sinisa da Antonioli, in plastico volo per l’occasione. Stagione 2002-2003, Delvecchio raggiungeva Da Costa. Il nono, quindi anche l’ultimo?

No, manca il decimo, quello che non troverete negli almanacchi e in nessun tabellino; ma se fate una graduatoria delle vostre urla, di sicuro finisce sul podio o giù di lì: era il 29 novembre del 1998 e Delvecchio aveva già regolarmente segnato il suo goal numero due in una stracittadina, su un invito dal lato mancino nientemeno che di “Pierino” Wome, per chi se lo ricorda. Poi, Lazio avanti per 3-1 e Petruzzi espulso.

Come fare a sperare? Grazie a Di Francesco e Totti e sempre sotto la Sud. Arbitro Farina. Notazione a margine? No, il nome dell’ “assassino”: su punizione di Totti da sinistra Delvecchio aveva fatto 4-3. Perché venne annullato? Neppure il lazialissimo Carlo Longhi, quella sera, seppe dire perché. Consoliamoci pensando che forse fu meglio così, perché molti di noi quella sera non avrebbero retto al “coccolone” e così ci saremmo persi tutto quello che era di là da venire e che avrebbe portato la firma, quasi sempre, di Marco Delvecchio.

Buon compleanno.

Paolo Marcacci

SEGUI ROMANEWS.EU ANCHE SU INSTAGRAM!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *