Capello: “Per me il 17 giugno è una data speciale”

Redazione RN
19/06/2018 - 9:29

Capello: “Per me il 17 giugno è una data speciale”

RASSEGNA STAMPA AS ROMA – “Due giorni fa era l’anniversario dello scudetto della Roma. Data speciale, per me e per i tifosi della Roma. Quello scudetto nacque da una sconfitta”. Queste le parole di Fabio Capello in un’intervista concessa al Corriere dello Sport. Il tecnico aggiunge: “L’ultima stagione fu davvero complicata, mi resi conto che non avevo più nulla da dare e da dire, tornavo a casa scontento e quando ti porti addosso il peso del lavoro e lo vivi con poca gioia devi avere la forza di staccare”.

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  1. …Ti rendesti conto che i soldi di Franco Sensi erano finiti e hai mollato tutti. Servo del Potere (cit. “Io MAI alla Juventus”).

  2. Ancora con questa storia…Tutti gli allenatori vanno dove pensano di vincere…dopo 3 anni ha cambiato…Capello non è nato a centocelle…è friulano e ha giocato e allenato in tutta italia e nel mondo…perchè doveva restare a vita? Se ne vanno i Conte, i Mourinho…solo noi riusciamo a portare rancore a uno dei 3 allenatori che ci ha fatto vincere… Semmai doveva essere pronta la Roma a programmare, invece si è ritrovata una squadra vecchia, indebitata e senza futuro…

    1. Gentile,
      uno dei problemi del nostro Paese è a mio avviso la mancanza di memoria. Fabio Capello, che ho sempre reputato un eccellente tecnico e che secondo me era allora il migliore allenatore del mondo, disse a chiare lettere che non gli interessava andare alla Juventus (“per me sono come i gesuiti”, cito a memoria senza consultare Internet), non più tardi di due mesi prima di andarci. Negli anni giallorossi fu interprete strenuo del Romanismo, non limitandosi a fare l’allenatore ma affiancando, verbalmente, con interviste e prese di posizione, il presidente Sensi nella lotta contro il “vento del Nord” (cit. Capello), accusando la Vecchia Signora di godere di posizioni di favore negli arbitraggi, nel mercato, in altro. In vista della stagione 2004-2005 programmò al tavolino con Bruno Conti il ritiro ed i giovani da portare con la prima squadra, spiegò al neoacquisto Mexes come lo avrebbe fatto giocare. Il tutto mentre concordava segretamente il passaggio in bianconero. Fuggì (non ci sono altri termini) di notte e non tenne mai in Italia una conferenza stampa per dire “ciao, grazie, è stato bello, vado alla Juve”. Ne tenne una in Spagna non volendo intervenire sull’argomento. Dirottò le cessioni di Zebina (già promesso al Milan) e di Emerson, che sarebbe finito al Real Madrid o all’Inter e con lui andarono entrambi alla Juve, danneggiando la Roma anche economicamente. Difficile evitare fischi e qualche insulto; personalmente, i primi sì, i secondi non glieli ho mai indirizzati.
      Certo la Roma doveva programmare: ma per farci vincere uno scudetto (assecondando anche le richieste tecniche di Capello), Sensi si indebitò fino a rimetterci del suo, e la Roma fu la sola delle “quattro sorelle aggiunte” (Lazio, Fiorentina e Parma le altre) a non fallire veramente o finire ai margini del grande calcio, anzi tornando a competere per il titolo con Rosella alla presidenza e Spalletti in panchina.
      Se il calcio è anche appartenenza, simboli e sentimento, Capello non si limitò ad andare via, ma – sportivamente – tradì una causa. Poi per me poteva andare dove voleva, mi sarebbe dispiaciuto ma non mi sarei sentito ferito come invece fu. Sempre Forza Roma

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